AI is The New Coal
When technological progress risks becoming an irreversible debt
There are technologies that change the world and others that change the way we think about it. Artificial Intelligence undoubtedly belongs to the second category, not because it is endowed with some form of consciousness, but because it has already changed our language, expectations, idea of progress. In just a few years, it has become a kind of mental infrastructure even before a technological one.
And that’s why it is worth pausing for a moment and looking at it from a different angle than the dominant one, not to demonize it, but to remove it from the salvific rhetoric that inevitably accompanies every great industrial revolution. Because history teaches us one very simple thing: when a technology is presented as inevitable, neutral, and intrinsically positive, is the exact moment when it ceases to be viewed with clarity.
Ci sono tecnologie che cambiano il mondo e tecnologie che cambiano il modo in cui pensiamo il mondo. L’Intelligenza Artificiale appartiene senza dubbio alla seconda categoria, non perché sia dotata di una qualche forma di coscienza, ma perché ha già modificato il nostro linguaggio, le nostre aspettative, la nostra idea di progresso. È diventata, nel giro di pochissimi anni, una sorta di infrastruttura mentale prima ancora che tecnologica.
Ed è proprio per questo che vale la pena fermarsi un momento e guardarla da un’angolazione diversa da quella dominante, ma non per demonizzarla, ma per sottrarla alla retorica salvifica che inevitabilmente accompagna ogni grande rivoluzione industriale. Perché la storia insegna una cosa molto semplice: quando una tecnologia viene presentata come inevitabile, neutra e intrinsecamente positiva, è il momento esatto in cui smette di essere osservata con lucidità.
History repeats itself, 200 years later
Saying that Artificial Intelligence is the new coal is not a provocation for its own sake. It is a historical, economic and systemic metaphor. Coal was not only a source of energy, it was the material foundation of an entire industrial civilization: it powered factories, transportation, cities, economic empires; it enabled unprecedented growth and, at the same time, created structural dependencies, profound inequalities and an environmental legacy we are still paying for. No one talked about these costs at the beginning, not because they were invisible, but they were not compatible with the narrative of progress.
Today, Artificial Intelligence occupies the same symbolic space that coal occupied in the 19th century. It is the enabling technology, the one that promises to make everything more efficient, faster, more productive. It is the basis on which new business models, new economic hierarchies and new forms of power are being built, just like coal, it is portrayed as something necessary, inevitable and non-negotiable.
One of the most deceptive aspects of AI is its apparent immateriality. The language we use contributes to this illusion: cloud, models, neural networks, algorithms. Everything seems to exist in an abstract dimension, far removed from matter and energy. In reality, Artificial Intelligence is one of the most physically intensive technologies ever developed. Every response generated, every model trained, every automated process requires an enormous amount of resources: data centers operate continuously, consuming electricity at levels comparable to those of entire metropolitan areas, cooling systems use millions of liters of water, supply chains for semiconductors that depend on mining, complex chemical processes and an extremely fragile geographical concentration.
Corsi e ricorsi storici, 200 anni dopo
Dire che l’Intelligenza Artificiale è il nuovo carbone non è una provocazione fine a sé stessa. È una metafora storica, economica e sistemica. Il carbone non è stato solo una fonte di energia, è stato il fondamento materiale di un’intera civiltà industriale: ha alimentato fabbriche, trasporti, città, imperi economici; ha reso possibile una crescita senza precedenti e allo stesso tempo ha creato dipendenze strutturali, disuguaglianze profonde e un’eredità ambientale che stiamo ancora pagando. Nessuno, all’inizio, parlava di questi costi, non perché fossero invisibili, ma perché non erano compatibili con la narrazione del progresso.
Oggi l’Intelligenza Artificiale occupa lo stesso spazio simbolico che occupava il carbone nell’Ottocento. È la tecnologia abilitante, quella che promette di rendere tutto più efficiente, più veloce, più produttivo. È la base su cui si stanno costruendo nuovi modelli di business, nuove gerarchie economiche, nuove forme di potere, ed esattamente come il carbone, viene raccontata come qualcosa di necessario, inevitabile, non negoziabile.
Uno degli aspetti più ingannevoli dell’IA è la sua apparente immaterialità. Il linguaggio che utilizziamo contribuisce a questa illusione: cloud, modelli, reti neurali, algoritmi. Tutto sembra vivere in una dimensione astratta, lontana dalla materia e dall’energia. In realtà l’Intelligenza Artificiale è una delle tecnologie più fisicamente intensive mai sviluppate. Ogni risposta generata, ogni modello addestrato, ogni processo automatizzato richiede una quantità enorme di risorse: data center che funzionano ininterrottamente, consumando elettricità a livelli paragonabili a quelli di intere aree metropolitane, sistemi di raffreddamento che utilizzano milioni di litri d’acqua, catene di approvvigionamento per i semiconduttori che dipendono da estrazioni minerarie, processi chimici complessi e una concentrazione geografica estremamente fragile.
High usage and low diversification: two breaking points
Another fundamental parallel concerns the infrastructural nature of artificial intelligence. We are not talking about an accessory technology, a tool can be adopted or not. AI is becoming the basic level on which entire economic and decision-making systems are built. Like electricity or oil, once integrated, it becomes invisible, taken for granted, indispensable. This is a crucial point, because when a technology becomes infrastructure, it ceases to be evaluated in terms of costs and benefits. It simply becomes necessary, and this is exactly what happened with coal: once the industrial economy was built on it, the idea of doing without it became unthinkable (even today that feeling is deeply rooted, ed.), not because it was harmful, but because the entire system depended on it.
We are currently building the same dependency with artificial intelligence. We are incorporating it into financial markets, business processes, strategic decisions and knowledge production. Each integration increases marginal efficiency but reduces the resilience of the system. The more everything works thanks to AI, the more its malfunction, abuse, or concentration become systemic risks. It is as if we were applying financial leverage to products already incorporate a very high systemic risk. From the point of view of economic power, the parallel with coal is even more evident. It created enormous concentrations of wealth and control: those who owned the mines and transport infrastructure controlled entire productive sectors. Artificial Intelligence is producing a similar concentration, but on an even more global scale.
Very few players control the key nodes, and we know very well who they are: advanced chip design (Nvidia), computational capacity (OpenAI), large models (Google), cloud platforms (Amazon), data flows (Meta, Microsoft, Apple, etc.). There is often talk of accessibility and democratization, but this is a superficial democratization. It is possible to use AI, but not to govern it. It is possible to benefit from it, but not to control its rules.
In financial markets, this type of structure is well known: when control of the infrastructure is concentrated, value tends to flow in the same direction. Those upstream capture increasing rents, while those downstream become progressively dependent. It is a dynamic that generates not only economic inequality, but also inequality in information and decision-making.
Alto utilizzo e bassa diversificazione: due punti di rottura
Un altro parallelismo fondamentale riguarda la natura infrastrutturale dell’Intelligenza Artificiale. Non stiamo parlando di una tecnologia accessoria, di uno strumento che può essere adottato o meno. L’IA sta diventando il livello di base su cui si innestano interi sistemi economici e decisionali. Come l’elettricità o il petrolio, una volta integrata diventa invisibile, scontata, imprescindibile. Questo è un punto cruciale, perché quando una tecnologia diventa infrastruttura, smette di essere valutata in termini di costi e benefici. Diventa semplicemente necessaria, ed è esattamente ciò che è accaduto con il carbone: una volta che l’economia industriale si è costruita su di esso, l’idea di farne a meno è diventata impensabile (ancora oggi quel sentimento è ben radicato, ndr), non perché non fosse dannoso, ma perché l’intero sistema ne dipendeva.
Attualmente stiamo costruendo la stessa dipendenza con l’Intelligenza Artificiale. La stiamo inserendo nei mercati finanziari, nei processi aziendali, nelle decisioni strategiche, nella produzione di conoscenza. Ogni integrazione aumenta l’efficienza marginale, ma riduce la resilienza del sistema. Più tutto funziona grazie all’IA, più un suo malfunzionamento, un suo abuso o una sua concentrazione diventano rischi sistemici. E’ come se applicassimo la leva finanziaria a prodotti che già di per se inglobano un rischio sistemico molto alto. Dal punto di vista del potere economico, il parallelismo con il carbone è ancora più evidente. Esso ha creato enormi concentrazioni di ricchezza e controllo: chi possedeva le miniere e le infrastrutture di trasporto controllava interi settori produttivi. L’Intelligenza Artificiale sta producendo una concentrazione simile, ma su scala ancora più globale.
Pochissimi attori controllano i nodi fondamentali e sappiamo benissimo chi sono: la progettazione dei chip avanzati (Nvidia), la capacità computazionale (OpenAI), i grandi modelli (Google), le piattaforme cloud (Amazon), i flussi di dati (Meta, Microsoft, Apple ecc.). Si parla spesso di accessibilità e democratizzazione, ma si tratta di una democratizzazione superficiale. È possibile usare l’AI, ma non governarla. È possibile beneficiarne, ma non controllarne le regole.
Nei mercati finanziari questo tipo di struttura è ben noto: quando il controllo dell’infrastruttura è concentrato, il valore tende a fluire sempre nella stessa direzione. Chi è a monte cattura rendite crescenti, chi è a valle diventa progressivamente dipendente. È una dinamica che genera disuguaglianze non solo economiche, ma anche informative e decisionali.
The hidden cost behind efficiency and convenience
The impact on work is often treated in a simplistic way, as if the problem were solely the replacement of certain tasks. In reality, the most profound effect of artificial intelligence is redistribution of bargaining power. When technology allows cognitive skills to be standardized, replicated and automated, human labor loses its central role as a productive factor.
It doesn’t mean work will disappear, but its relative weight compared to technological capital will change. It is the same process occurred during the industrial revolution: productivity grows, but value becomes concentrated. Real wages take decades to adjust, while profits grow much faster. In the meantime, social tensions, precariousness and polarization arise. Here, too, the narrative is reassuring: new professions, opportunities, skills. All true, but as usual, truth lies somewhere in between: every technological transition creates winners & losers, and coal teaches us that costs of adjustment are never distributed fairly.
From a financial point of view, Artificial Intelligence has another feature that should give pause for thought: temporal asymmetry between benefits and costs. The benefits are immediate, quantifiable and presentable in financial statements and pitches to investors. Costs are deferred, diffuse and difficult to attribute to a single actor. It is the same dynamic that fuels speculative bubbles. When a technology promises to increase future productivity, market tends to anticipate those benefits in the present, often excessively. Valuations rise, expectations inflate, risk is underestimated. As long as the system holds up, no one has any interest in slowing down.
The problem is that systems built on structural dependencies don’t fail in a linear fashion. They collapse when an invisible threshold is crossed. This, too, is a historical lesson from coal and, more generally, from large energy infrastructures. To say that Artificial Intelligence is the new coal is therefore to recognize we are not facing a simple technological innovation, but a systemic transformation. It means accepting progress always has a real cost, even when it is masked by efficiency and convenience. It means stopping confusing the fact that something works with the fact it is sustainable in the long term.
Coal was not an absolute evil, but a historical milestone. But it was also a choice made without full awareness of the consequences. Today we have an advantage was lacking then: we know the script, the dynamics between technology, power, and dependence work, and we know that ignoring the costs doesn’t eliminate them, it amplifies. The real question, then, is not whether Artificial Intelligence is good or bad. The question is whether we are repeating, with more sophisticated tools, the same mistake we have always made: confusing inevitability with the absence of alternatives and progress with the suspension of critical thinking.
Il costo mascherato dietro l’efficienza e comodità
L’impatto sul lavoro viene spesso trattato in modo semplicistico, come se il problema fosse esclusivamente la sostituzione di alcune mansioni. In realtà l’effetto più profondo dell’Intelligenza Artificiale è la redistribuzione del potere contrattuale. Quando una tecnologia permette di standardizzare, replicare e automatizzare competenze cognitive, il lavoro umano perde centralità come fattore produttivo.
Questo non significa che il lavoro scomparirà ma che cambierà il suo peso relativo rispetto al capitale tecnologico. È lo stesso processo che si è verificato durante la rivoluzione industriale: la produttività cresce, ma il valore si concentra. I salari reali impiegano decenni per adeguarsi, mentre i profitti crescono molto più rapidamente. Nel frattempo si creano tensioni sociali, precarietà, polarizzazione. Anche qui la narrazione è rassicurante: nuove professioni, nuove opportunità, nuove competenze. Tutto vero, ma come al solito la verità sta nel mezzo: ogni transizione tecnologica crea vincitori e vinti, e il carbone insegna che i costi di aggiustamento non sono mai distribuiti in modo equo.
Dal punto di vista finanziario, l’Intelligenza Artificiale presenta un’altra caratteristica che dovrebbe far riflettere: l’asimmetria temporale tra benefici e costi. I benefici sono immediati, quantificabili, presentabili nei bilanci e nei pitch agli investitori. I costi sono differiti, diffusi, difficili da attribuire a un singolo attore. È la stessa dinamica che alimenta le bolle speculative. Quando una tecnologia promette di aumentare la produttività futura, il mercato tende ad anticipare quei benefici nel presente, spesso in modo eccessivo. Le valutazioni salgono, le aspettative si gonfiano, il rischio viene sottovalutato. Finché il sistema regge, nessuno ha interesse a rallentare.
Il problema è che i sistemi costruiti su dipendenze strutturali non falliscono in modo lineare. Collassano quando una soglia invisibile viene superata. Anche questo è un insegnamento storico del carbone e, più in generale, delle grandi infrastrutture energetiche. Dire che l’Intelligenza Artificiale è il nuovo carbone significa quindi riconoscere che non siamo di fronte a una semplice innovazione tecnologica, ma a una trasformazione sistemica. Significa accettare che il progresso ha sempre un costo reale, anche quando viene mascherato da efficienza e comodità. Significa smettere di confondere il fatto che qualcosa funzioni con il fatto che sia sostenibile nel lungo periodo.
Il carbone non è stato il male assoluto, bensì una tappa storica. Ma è stato anche una scelta fatta senza piena consapevolezza delle conseguenze. Oggi abbiamo un vantaggio che allora mancava: conosciamo il copione, sappiamo come funziona la dinamica tra tecnologia, potere e dipendenza e sappiamo che ignorare i costi non li elimina, li amplifica. La vera domanda, quindi, non è se l’Intelligenza Artificiale sia buona o cattiva. La domanda è se stiamo ripetendo, con strumenti più sofisticati, lo stesso errore di sempre: scambiare l’inevitabilità con l’assenza di alternative, e il progresso con la sospensione del pensiero critico.







